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domenica 13 novembre 2011

Il Piazzale Loreto dell'Italia berlusconiana

Una volta, Ugo Ojetti disse a Montanelli: “Figlio mio, ti accorgerai anche tu che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri. Perciò, senza memoria”. Non si trova, ad oggi, definizione che si attagli meglio al nostro popolo. E a rinforzo di questa tesi si può portare l’esempio che stiamo vivendo in questi giorni: le dimissioni di Berlusconi.

Nei momenti di festa, quei pochi che in Italia ci vengono concessi, i guastafeste sono sempre guardati di sbieco, anche perché non avendo storicamente mai avuto molto da festeggiare, ci si lascia andare a leggerezze che coi cinici seccatori mal si conciliano. Ma qualcuno, questo turpe ruolo, lo deve pur ricoprire.

Le dimissioni di Berlusconi, salutate dalle piazze come una riedizione del 25 aprile, hanno scatenato un’euforia condivisa, certamente attesa, probabilmente poco meritata. Intendiamoci, che Berlusconi se ne sia finalmente andato non può che essere considerato un bene per la nazione. Quello che invece sfugge allo spirito critico popolare, e anche a molti intellettuali, è la ragione per cui ha lasciato la scena. Ed è bene metterlo in chiaro sin d’ora, a scanso di tutti i tentativi politici di mettere il cappello su una presunta vittoria che a tutti può appartenere fuorché ai partiti: le dimissioni di Berlusconi ci sono state imposte dai mercati. Insomma, come in tutti i momenti di forte criticità che il nostro paese si è trovato ad affrontare, l’ancora di salvezza è stata gettata da un’altra nave, non dalla nostra. In questo caso, è bene ripeterlo, i mercati hanno fatto la parte che avrebbe dovuto giocare la nostra classe politica, che come al solito ha dato buca. Come da prassi.

Non per scadere nei luoghi comuni, ma la Storia ama ripetersi, e nel nostro paese lo fa anche con singolare sadismo. Lo si è visto con il Fascismo, sulla cui fine si può dar credito a qualsiasi tesi, meno che a quella per cui noi italiani abbiamo giocato un ruolo determinante. Del fascismo ce ne liberammo grazie agli americani, il contributo dei partigiani fu certamente lodevole da un punto di vista patriottico, ma da quello pratico fu solo una timida spallata a fronte della caterva di scoppole ricevute. I nazisti li avrebbero crocifissi lungo la via Appia, come Crasso fece con Spartaco e il suo esercito, se non fossero intervenuti gli Alleati. A noi, insieme all’ammirevole prova dei partigiani e alla retorica, che in Italia non tramonta mai, è rimasto sul groppone Piazzale Loreto, forse la pagina più triste della nostra Storia, e per questo la più taciuta. Un popolo che fino al giorno prima si era privato dei suoi averi più preziosi per sostenere lo stato fascista, ora sputava e inveiva sui cadaveri dei suoi gerarchi, in uno sventurato tentativo di recuperare una verginità politica oramai persa.

E lo si vide subito dopo, quando una larga fetta dell’elettorato italiano tentò di affidare, alle elezioni del ’48, il mandato politico al Partito Comunista di Togliatti, che altro non era se non un facsimile di quello stalinista. Allora si riuscì a mettere una pezza prima di creare la falla solo e unicamente grazie alla Chiesa, di cui in quell’occasione ci dobbiamo considerare debitori. È un merito che, se si vuole rendere un servizio alla propria onestà intellettuale, è doveroso riconoscerle. La Chiesa scese in politica, fiancheggiata non solo dall’associazionismo cattolico, ma dalle parrocchie, dagli oratori, da qualsiasi succursale del suo ascendente fideistico per arginare la deriva comunista a cui l’Italia si apprestava ad allargare le braccia. E sebbene l’ingerenza della Chiesa negli affari interni italiani sia di certo un valido motivo per criticarla, quella volta fu provvidenziale. Ma ci salvammo per un intervento esterno, non certo da noi.

E lo si è visto, ancora, con Tangentopoli. Quando la classe politica, non essendo capace di ripulirsi da sola, fu travolta dall’ondata di inchieste di Mani Pulite. Venne fuori tutto il marcio, il cui lezzo promanava da qualsiasi struttura dello Stato, da qualsiasi ente, da qualsiasi sede di partito. E ci si provò a guarirla, quella classe politica, attraverso l’attività dei magistrati, nonostante i politici facessero fronte compatto per salvaguardare i propri interessi e la propria licenza di delinquere. Anche stavolta, tocca riconoscere, l’opera di risanamento fu tentata da un potere esterno a quello politico, la magistratura. Il risultato lo abbiamo visto nel ventennio successivo, di cui oggi ci accingiamo a raccogliere l’eredità e il peso. Il frutto malato di Tangentopoli è stato Berlusconi, non tanto la causa della mancanza di una coscienza politica nazionale, quanto l’effetto. Perché? Perché gli italiani non sono mai stati capaci di risollevarsi da soli, con le sole loro forze. Hanno sempre aspettato che l’uomo della Provvidenza venisse da fuori a salvarli. Gli Alleati, la Chiesa, Mani Pulite, Berlusconi, sono tutti la vergognosa attestazione dell’inadeguatezza tutta italiana a venir fuori dalle difficili situazioni facendo appello alla sola ragione dei suoi cittadini e di chi li rappresenta.

E se qualcuno oggi paventa il pericolo per la democrazia, minacciata da un governo di tecnici, estranei ai partiti politici e quindi non “eletti dal popolo”, è meglio che taccia. Oggi la politica non è in grado da sola di fare tutto l’indispensabile per evitare il fallimento del paese, lo ha dimostrato abbondantemente portandoci sull’orlo del baratro su cui oggi vertiginosamente ciondoliamo. È meglio quindi che ceda il passo a persone la cui credibilità risulti ancora intatta, e ripensi a quanto poco e male ha fatto dal dopoguerra ad oggi. E si ripresenti alle prossime elezioni con una faccia nuova. Oggi è il momento da farsi da parte, domani il mondo politico avrà di certo un’altra possibilità. Per converso, la società civile non è meno colpevole. Nessun lancio di monetine, nessuno sputo o dito medio domani potranno ravvivare la dignità degli italiani, il cui spirito critico si sveglia sempre con netto ritardo rispetto agli eventi. Gli italiani, è bene ricordarcelo, non solo hanno assistito a questo scempio che dura da anni, ma hanno contribuito fortemente acchè avvenisse. Fa più bene all’amor proprio che alla propria onestà morale appostarsi fuori dai palazzi o nelle piazze per berciare e inveire contro i politici, mentre per tutta una vita si è stati silenziosamente testimoni o finanche sostenitori. Così come nel ’45 si faticava a trovare dei fascisti, oggi si fatica a trovare dei berlusconiani.

Quella di ieri non è stata una vittoria degli italiani. Fosse stato per noi, Berlusconi ce lo saremmo tenuto fino a quando il Padreterno non si fosse stufato. Al massimo è stata una vittoria di Pirro, sulla quale noi cittadini, al pari dei politici, non possiamo mettere il cappello.
Ieri abbiamo assistito a un altro Piazzale Loreto, seppur in chiave postmoderna e parecchio annacquata. Speriamo di non dover più vedere di queste scene per il resto della nostra storia. Ne abbiamo già viste abbastanza.

giovedì 15 settembre 2011

Vaticano pagaci la manovra. 17 settembre manifestazione a Roma




Che il Vaticano sia una palla al piede per l’Italia, fiscalmente parlando, è oramai acclarato. Durante i mesi di questa calda estate un’ondata di disapprovazione e di sdegno nei confronti dei tanti privilegi di cui gode la Chiesa nel nostro paese è emersa, e anche fortemente. Il partito che l’ha giustamente cavalcata è stato quello dei Radicali, che nel chiedere un pizzico di equità sociale gli si fa anche un torto a definirli radicali. In questo senso, dovremmo essere tutti un po’ radicali. Soprattutto se per moderati s’intende poi Pd o Pdl, che tendono a confondere il moderatismo con il lassismo. Non staremo qui ad elencare i favori fiscali (dall’ottoxmille all’Ici) di cui la Chiesa è da tempo beneficiata, le inchieste de L’espresso fanno scuola. Proviamo piuttosto a chiederci perché la Chiesa gode di tali privilegi e perché nessuno accenna a inficiarli. La risposta è più semplice di quanto non sembri. Ed è questa: l’Italia è fondamentalmente un paese cattolico. Cattolico non in senso religioso, ma in senso politico. Da quando è stata fondata la Democrazia Cristiana, salvo un primo breve periodo di scetticismo, la Chiesa ha prestamente compreso i vantaggi che poteva trarre da un’ingerenza o anche solo influenza nella gestione del paese. Sebbene la sfera religiosa e quella politica sembrino, a primo acchitto, completamente estranee l’un all’altra, in molti paesi occidentali, e soprattutto in Italia, esse sono più intrecciate di quanto la ragione e la prassi consiglino. Basti pensare al fatto che l’istituto sacrosanto del referendum è nato in seguito all’approvazione della legge sul divorzio, nel 1970. Si pensava, scioccamente, di poter abrogare fin da subito tale legge, complice anche la mancata comprensione della natura della società italiana che, sebbene si professi sempre fedele ai dogmi cattolici, nel privato non esita a infrangerli.
Domani 17 settembre è prevista una manifestazione a Roma per dar voce a tutti coloro che sono oramai stanchi dei privilegi vaticani. Una manifestazione sacrosanta, è bene dirlo e ribadirlo. Essa è certamente un passo ulteriore nel processo di secolarizzazione del clericalismo, che da ben due millenni ci attanaglia. Ciò nonostante, siamo ancora all’inizio del cammino. Si badi, qui non si sta criticando la Chiesa da un punto di vista religioso, ma solo da quello clericale e politico. Ognuno è libero di credere alle fesserie che vuole, a patto che queste fesserie non portino con sé uno strascico nella gestione di un paese quale è l’Italia. Comunque, per chiunque si aspetti una subitanea presa di coscienza da parte della società civile e della classe politica dell’impellenza di affrontare questa tematica, è il caso di smorzare un po’ le aspettative. Nella manovra, è fuor di dubbio, non ci sarà nessuna abolizione né tantomeno ridimensionamento dei privilegi del Vaticano. Ed è assolutamente ragionevole. In Italia, paese fortemente cattolico, quanto dice la Chiesa è legge. In uno stato governato da un piazzista la cui condotta sarebbe facilmente e doverosamente attaccabile dalle alte sfere del clero e che pure ne è immune (salvo qualche critichina d’obbligo), è evidente l’esistenza di una connivenza tra potere politico e potere religioso. In tempi di crisi, dove per fare una manovra è quasi impossibile reperire fondi senza sollevare proteste di categoria, sarebbe fin troppo semplice dare un taglio netto ai benefici fiscali del Vaticano per irrorare le casse dello Stato. Tuttavia, se vogliamo rendere un favore alla nostra intelligenza, dobbiamo evitare di stupirci se nessuno lo fa. E fa anche bene a non farlo. Quale partito politico attaccherebbe il ventre del Vaticano ben sapendo che il più vasto bacino elettorale del paese è proprio quello cattolico? La Chiesa, in tal caso, impiegherebbe meno di un secondo per far perdere a un partito quel 10% (se non di più) di voti, ammazzando definitivamente le sue speranze elettorali e condannandolo all’oblio politico. Non è un caso, infatti, che in ogni partito ci siano le correnti cattoliche, e di solito sono anche le più influenti.


Insomma, va bene oggi scendere in piazza e protestare contro i privilegi fiscali del Vaticano. A patto che le domeniche, piuttosto che andare nelle piazze, si vada a protestare all’uscita delle chiese. Solo così infatti si potranno informare i cittadini di come quella Chiesa, che essi venerano ciecamente, non esiti a rubare l’argenteria in casa loro. E di come lo faccia anche sfacciatamente, perdio.