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lunedì 10 ottobre 2011

Quei 10 euro per Santoro

Che Michele Santoro sia un bravo giornalista, capace di confezionare un prodotto televisivo altamente informativo e al tempo stesso di attrarre a sé il grande pubblico, lo abbiamo visto. I numeri parlano chiaro, e le critiche al confronto sviliscono. Il problema, però, è nato quando Santoro, per andare in onda col suo nuovo progetto “Comizi d’amore”, ha chiesto al suo pubblico un aiuto: 10 euro. In rete, quella su cui il giornalista fa principalmente affidamento, la maggior parte dei cori è d’approvazione. “Fatto”, “Tutta la vita per Santoro”, “Anche di più, te lo meriti” e via dicendo. Ma ce ne sono altri, invece, che quei dieci euro proprio non li vogliono sborsare. Sbagliato? No, giusto. Giustissimo. Sacrosanto. Se a uno gli pesano, quei dieci euro, gli pesano. C’è poco da sbraitare.

Ma facciamola breve: quello che fa perdere la bussola non è il negare il proprio contributo, ma alcune delle motivazioni che si accampano per non darlo. Proviamo a farne una rassegna: “Io sono uno dei tanti giornalisti precari, non ha mai parlato dei nostri problemi, e quando intervistato, ha glissato sull’argomento”. “Ha ricevuto una liquidazione milionaria dalla Rai, se lo paghi con quello, io sono precario”. “Già pago il canone Rai”. “Non ha mai parlato delle donne, quelle vere che tengono in piedi questo paese, ma sempre delle prostitute di Arcore”. “Quando Santoro prende il suo stipendio non lo viene a dividere con me”. “Ha i soldi della pubblicità, usi quelli”. “Perché mai dovrei pagare uno spazio in cui non si è mai parlato di violenza contro le donne, di criminalizzazione delle lesbiche, neppure di donne migranti che finiscono per fare le badanti o le prostitute”. “Io dieci euro li darei per Iacona, per Vauro, non per Santoro”. “Si è paragonato al tunisino che ha dato il via alle rivolte nel Maghreb, paragone irrispettoso, non merita i miei soldi”.

Quello che emerge è un quadro deprimente. Non per Santoro, s’intende, ma per coloro che si fanno specchio di scusanti sciapite e pelose per motivare la mancata offerta. Come se l’offerta fosse un dovere morale al quale, se non lo si adempie, bisogna trovare una giustificazione. Si può invece anche dire “No, non farò l’offerta perché non me la sento”, oppure “No, perché non mi va”. Risposte più che legittime, che si guardi o meno il programma. E al tempo stesso si eviterebbe di martoriare le letture degli altri con spiegazioni arrancate e goffe.

Perché il punto è questo. Credo che se sei un giornalista precario e hai bisogno che Santoro dia voce ai tuoi problemi, sia più che comprensibile, ma non per questo bisogna fargliene una colpa se non te la dà. La voce che chiedono (la minoranza certamente dei precari) a Santoro potrebbero usarla per urlare ancor più di quanto già facciano contro la Fnsi, l’OdG e la Fieg. Prendersela con un giornalista, seppur famoso, è un po’ come battere il basto invece dell’asino. E lo stesso discorso vale per le donne che non si sentono rappresentate, e per gli uomini, i lavoratori, gli studenti e via dicendo. Non è dando quei dieci euro a Santoro che si possono accampare pretese sul programma. Il “ti do i miei soldi ma tu poi parli dei miei problemi” è il classico ragionamento all’italiana per il quale, qualsiasi interesse si faccia, deve essere il mio interesse. Cadono a grappolo tutte le prosopopee sulla libertà dell’informazione, sul futuro della comunicazione e tutte le altre solenni parole di cui ci siamo ingozzati. Santoro è ricco, ha preso due milioni due dalla liquidazione. Quindi deve sganciare la grana, altro che battere cassa. Senza sapere se abbia contribuito al programma di tasca sua o meno, dato che non viene nemmeno presa in considerazione l’idea che l’abbia già fatto. Lo si dà per scontato, lui il borsello lo tiene al sicuro.

Comunque, il tempo delle ciance è finito. Santoro mette su un nuovo programma, senza un editore (per i meno esperti: un finanziatore) che gli copra le spalle (anche da rivalse dinanzi a un giudice). Lo volete aiutare? Se sì, bene, se no, bene lo stesso. Ma non ammorbateci con scuse avvizzite dal moralismo spiccio. Ad esso risulta preferibile persino la taccagneria.